In Casa Inter arrivano critiche al campionato di Simone Inzaghi. Critiche giustificate. Ma se il Porto è una grande i nerazzurri vincono…
Simone Inzaghi, nonostante il secondo posto in campionato e la conquista della Supercoppa italiana, è al centro di critiche anche feroci. Immotivate, ingenerose forse, ma con fondamenti.
La tifoseria più calda lo accusa di far praticare un gioco provinciale alla squadra, probabilmente la più attrezzata per contendere il titolo al Napoli.
Eppure da gennaio il campionato non è più roba nerazzurra. Anzi. Di più. Nel momento in cui il calendario schiacciava l’occhio, gli Inzaghi-boys non sono riusciti che a racimolare otto punti su quindici con squadre di seconda fascia o cosiddette provinciali, frutto di due vittorie (Cremonese e Verona), due pareggi (Monza e Sampdoria), una sconfitta (Empoli). La cosa buffa è che nello stesso pacchetto di partite l’Inter ha vinto due derby (con Supercoppa inclusa) e ha piegato il Napoli.
Una sorta di dottor Jekyll e mister Hyde, oppure una indescrivibile voglia votata al martirio. È un desiderio insopprimibile cercare di capire la testa dei ragazzi nerazzurri che nel momento più buio della stagione superano il Barcellona, sfiorando addirittura il bis al Camp Nou, qualificandosi agli ottavi di Champions e poi arenarsi nel momento più facile del percorso.
Premesso che le responsabilità maggiori le hanno chi scende in campo, facciamo notare che il mister interista non è mai riuscito con i cambi a incidere nel corso di una partita. Integralista convinto del 3-5-2, non ha mai convinto nella lettura della partita e il momento in cui è chiamato a “ragionare”.
Sarebbe troppo facile ripercorrere la stagione di Marcelo Brozovic e compagni, ma si fa in fretta.
L’Inter di Inzaghi grande con le grandi. Il Porto è una big d’Europa?
Inter, le critiche a Inzaghi? Giustificate. Ma se il Porto è una grande…
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Le sconfitte all’Olimpico con la Lazio e di Udine portano la sua firma. Contro i biancocelesti di Maurizio Sarri, Inzaghi a una manciata di minuti dal termine toglie dal campo Denzel Dumfries (migliore dei suoi), arretrando il baricentro e permettendo agli avversari di colpire due volte. Contro i friulani gridano vendetta i cambi di Alessandro Bastoni e Henrikh Mkhitaryan, perché ammoniti alla mezz’ora del primo tempo e il cambio di Stefan De Vrij al posto di Francesco Acerbi e la sconfitta su azione successiva.
E contro la Juventus, dopo un buon primo tempo, riceve una dura lezione da Massimiliano Allegri. Ci sono altre sconfitte insieme a vittorie anche importanti. Saltiamo qualche casella e portiamoci al “qui e ora”.
La condizione ritrovata rimette Inzaghi in carreggiata, ma solo con le grandi, perché con le altre fa una fatica del diavolo. Un messaggio rimbomba ben chiaro: grande con le grandi e piccola con le piccole.
Quasi a suffragare la poca personalità quando si presentano partite in cui gli stimoli sono difficili da tirare fuori. In questo frangente deve uscire il mestiere, il carisma e la leadership dell’allenatore che pare essere nascosto da chissà quale ombra.
La squadra è forte, ma tenera quando deve mostrare i muscoli a chi muscoli non ha. E allora l’adeguamento ai ritmi blandi, alla mediocrità dell’avversaria trova conforto dall’apatia dei nerazzurri che stentano a uscire dalla confort zone del momento.
Contro Barcellona, Milan e Napoli le motivazioni escono come funghi, non c’è da pensare. La gara è quella, il livello si alza, i valori tecnici emergono. La personalità si mescola con la tecnica, gli alibi latitano.
Ora c’è la Champions, non si scherza più. Il paradosso porta a pensare che questa squadra possa fare uno scherzetto al Porto. Nulla di più semplice. Non sarebbe sconvolgente. Non sarebbe Inzaghi.