Un’Inter presuntuosa si fa sorprendere da un Milan modesto ma decisamente più affamato: come trasformare lo schiaffo del Diavolo in una lezione salutare
L’Inter perde il derby della Madonnina. E già questa di per sé – visto l’evolversi del recente passato – sarebbe una notizia. Ma la palla, si sa, è rotonda e spesso il risultato non è mai la giusta equazione di quanto si può essere visto in campo. Ecco, chiariamo subito ogni dubbio: non è questo il caso perché se il Milan si è preso la stracittadina numero 240 l’ha fatto meritatamente. Con la testa, con il cuore, con le gambe. Meno attraverso la tecnica perché – nonostante l’esito finale – il divario tra le due squadre rimane. Il doppio schiaffo che il Diavolo ha riservato al Biscione arriva dopo le amnesie di Genova e la svogliata prova di Monza: più che deprimersi ci si dovrebbe arrabbiare (per non dire peggio). Visto che non si può vivere di sola Champions.
Ovviamente le attenuanti ci sono tutte. Siamo solo all’inizio, molti giocatori hanno iniziato tardi la preparazione, qualche uomo chiave deve oltretutto fare i conti con gli acciacchi del mestiere. E poi – un po’ scaramanticamente – capitombolare in casa di questo periodo porta anche bene (vedi Inter-Sassuolo della scorsa stagione). Ci permettiamo un appunto anche a mister Inzaghi, tornato per una sera ad ingessarsi sul matematico cambio degli ammoniti. Quel che non ci è piaciuto però è proprio l’atteggiamento generale di chi è sceso in campo. Fin da subito, anche nei primi minuti della ripresa.
L’Inter prende uno schiaffo dal Diavolo: il derby è (meritatamente) rossonero
Inter, lo schiaffo del Diavolo e la legge delle tre P
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Nel mondo del calcio c’è una linea guida non scritta che elenca – sia a livello di singoli che di gruppo – quali comportamenti evitare per non incappare in annate negative. Se si vuol vincere bisogna mettere al bando presunzione, pressapochismo e comportamenti da primadonna. Qualche saggio l’ha chiamata legge delle 3 P e l’Inter potrebbe (si spera) averlo capito ieri sera sulla propria pelle. Con la sola superbia non si raggiunge nessun risultato e ogni dettaglio va curato scrupolosamente. Anche al cospetto di squadre che pochi mesi or sono hanno girato a venti punti di distacco.
E in un contesto dove non c’è il grande campione che fa la differenza, ma un insieme di tanti ottimi giocatori, se manca pure la “corsa per il compagno” – come successo nel derby – anche il castello più solido si può sgretolare. Ovvero finisce che (vedi il gol di Gabbia o, riavvolgendo il nastro, quello di Dany Mota) gli avversari ti mangino in testa. Non ci siamo abituati e non abbiamo nessuna intenzione di farci l’abitudine.