Inter. C’è un’ombra delicata e persistente nella memoria interista: quella di Enrico Cucchi. Egli non fu una stella abbagliante, ma un vero e proprio battito cardiaco pulsante a centrocampo, un’anima generosa la cui storia è rimasta ingiustamente dimenticata per troppo tempo. La sua vicenda non è solo fatta di tackle decisi e maglie sudate, ma di una lotta straziante contro il destino, affrontata con una dignità esemplare.
Il compianto Enrico era il prototipo del gregario indispensabile, l’uomo a cui i compagni potevano affidarsi ciecamente. Arrivato giovanissimo all’Inter, giocò con l’orgoglio di chi indossa la maglia nerazzurra come una seconda pelle. Non cercava la copertina, ma la sua dedizione era totale, il suo sorriso contagioso, il suo carattere mite e onesto era amato da tutti. Giuseppe Bergomi, il “Capitano” per eccellenza, lo definì “uno a cui non si poteva non voler bene,” ricordando in particolare la sua performance eroica nella vittoria della Supercoppa Italiana del 1989.
La vita, però, gli riservò un destino crudele e incomprensibile. Nel pieno della sua maturità atletica e umana, a soli 26 anni, fu colpito da un melanoma (cancro della pelle). La malattia lo strappò gradualmente al mondo che amava, costringendolo ad abbandonare il campo, il suo rifugio. Mentre altri campioni ricevevano l’onore delle prime pagine, la battaglia di Cucchi e la sua prematura scomparsa si consumarono in un doloroso oblio mediatico, facendone un “morto di Serie B” per l’opinione pubblica, come amaramente ricordato da alcuni osservatori
Una grave perdita
La sua scomparsa, avvenuta il 4 marzo 1996 a soli 30 anni, fu un lutto profondo e ingiusto. Ma è nel dopo che risiede la commozione più potente. Il suo ricordo non è rimasto confinato negli almanacchi sportivi; è fiorito in un gesto d’amore e speranza. L’Associazione Enrico Cucchi – Volontari per le cure palliative, è il suo lascito più grande, il simbolo di una battaglia persa individualmente ma vinta nel nome della solidarietà. Sarebbe stato, certamente, una bandiera nerazzurra.
L’uomo, prima che il calciatore, non è solo il centrocampista che ha onorato la maglia: ma è il ricordo toccante di un ragazzo che ha lottato con tanto coraggio e che, attraverso il dolore e il silenzio, continua ancora oggi a prendersi cura del prossimo. È l’eterna testimonianza che la vera grandezza di una persona si misura nella generosità e nella dignità con cui si affronta il destino.
Nel suo periodo in attività, il povero Cucchi, fu un punto di riferimento per molti giovani che s’identificavano in lui, sia per le sue qualità calcistiche che umane. Perciò, resta sempre una profonda tristezza per averlo perso troppo presto.



