Quattro anni esatti. Era il 3 giugno 2021 quando l’Inter, con un asciutto comunicato sul proprio sito web, dava il benvenuto a Simone Inzaghi, allora nuova guida tecnica della squadra nerazzurra. Antonio Conte aveva lasciato da campione d’Italia in un contesto in ridimensionamento che di lì a poco avrebbe perso due colonne dello scudetto numero diciannove. Ossia Romelu Lukaku (che ha scucito il tricolore dalle maglie della Beneamata) e Achraf Hakimi – fresco campione d’Europa, con la sua rete ha dato il via alla mattanza dell’Allianz Arena. Con il senno di poi, scherzi del destino.
Da una parte l’Inter più bella di sempre – lo ammetteranno anche i detrattori del mister: la creatura del Demone ci ha fatto divertire, e non poco – dall’altra quel prolungato senso di amarezza per due scudetti gentilmente regalati a Milan e Napoli e altrettanti secondi posti nella coppa dalle grandi orecchie. Finali diversissime tra loro, sia chiaro: quella contro il Manchester City giocata orgogliosamente alla pari e persa per episodi – leggere alla voce del già citato centravanti belga – quella di sabato scorso come umiliazione massima della storia nerazzurra.
Da una parte l’Inter che segna undici rete a Bayern Monaco e Barcellona, che vince con un filo di gas lo scudetto in faccia ai cugini, dall’altra quella che a San Siro permette il bottino pieno al Sassuolo, al Empoli o al Monza – con tutto il rispetto – di turno. O che perde una Supercoppa già vinta contro il Milan peggiore di sempre.
L’interismo di Simone Inzaghi
Proprio per questo i millequattrocentosessantuno giorni di Simone Inzaghi sono stati un regno di interismo puro, vissuto tra picchi altissimi e tonfi clamorosi. Applausi scroscianti e paperissime dei portieri, difese impenetrabili e retroguardie ballerine, caterve di reti e improvvisati punte spuntate. Giocatori normali positivamente plasmati e trasformati in campioni (su tutti: Federico Dimarco e Hakan Calhanoglu), ma anche gravissimi abbagli di calciomercato – i “suoi” pupilli Felipe Caicedo e Joaquin Correa.
Non un mago come Helenio Herrera, non un re Mida alla Mourinho, non un vincente antipatico in stile Antonio Conte. Ma “pazzo” come noi, nerazzurro. Nei (tanti) pregi e negli irrisolti difetti – addio sostituzione sistematica degli ammoniti – Simone Inzaghi è stato l’allenatore più interista di sempre.