Tre schiaffi, secondo obiettivo stagionale svanito, un crollo verticale e nessun segnale di reazione. Inter-Milan, il quinto derby stagionale, finito 0-3 per il Diavolo, come manifesto della parte peggiore dell’interismo. È durata 35 minuti la semifinale nerazzurra. Ovvero l’illusorio lasso di tempo tra il fischio d’inizio di Daniele Doveri e la zuccata di Luka Jovic che ha trasformato la pioggia di San Siro in una grandinata rossonera. Tanto improvvisa quanto, in prospettiva, potenzialmente dannosa per la Beneamata. Troppo poco in tempi – per così dire – normali. Prestazione imbarazzante per chi, almeno fino alla vigilia, partiva con l’ambizione di vincere tutto.
E non veniteci a parlare di stanchezza, mentale o fisica che sia. Perché se l’Inter è arrivata al cinquantunesimo gettone stagionale, i cugini ne hanno collezionati solamente due in meno. E hanno vinto l’ennesimo derby senza far nulla di speciale, con la sigaretta (o meglio, il sigaro) in bocca, come si suol dire. E nonostante la classifica di Serie A certifichi la netta differenza tra le due squadre con un sonoro -20.
Inter-Milan: nessuna tragedia (almeno per il momento)
Sulle pagine della Gazzetta dello Sport Fabio Capello ha parlato di “scelte presuontuose” da parte di Simone Inzaghi. Non siamo d’accordo, decisioni obbligate piuttosto – mettendo su un’ipotetica scala di valori la Coppa Italia decisamente più in basso rispetto a scudetto e Champions League. Anche perchè ieri sera a steccare sono stati soprattutto i big: un Alessandro Bastoni deconcentrato, un Henrikh Mkhitaryan stranamente impreciso, un Federico Dimarco né carne né pesce, un Lautaro Martinez con le polveri bagnate. In particolare dopo il raddoppio del Milan la luce è sembrata essersi spenta, di una reazione – anche solo d’orgoglio – nemmeno l’ombra. Elettroencefalogramma piatto, con la melina finale come umiliazione massima. E sì, concordiamo con il mister quando esclude ogni alibi.
Nessuna tragedia, ovviamente (e almeno per il momento). Anche perché l’ennesima bruciante sconfitta nel derby rientra in quella casistica che potremmo definire la parte peggiore dell’interismo. L’altro lato di una medaglia fatta sì di imprese epiche, rimonte al cardiopalma e affermazioni perenotorie. Ma anche di disfatte clamorose (ogni riferimento al 5 maggio è puramente casuale) e sconfitte che lasciano cicatrici profonde. Genetica della Pazza Inter, capace – nel giro di una settimana – di domare una delle squadre più forti d’Europa e poi di farsi mettere i piedi in testa da un modestissimo Milan. Prendere o lasciare, l’amor d’altronde è sempre senza pretese. Si chiama interismo, bellezza: in questo maggio da affrontare con il coltello tra i denti dobbiamo aspettarci di tutto. Nella buona e nella cattiva sorte.