La stagione dell’Inter con la seconda stella non è da buttare ma per la Champions League ci vuole altro. Molto altro…
Poteva andare male, e male è andata. L’amarezza presto sfumerà nella marcia di avvicinamento allo scudetto (siamo certi che Inzaghi riuscirà a ricostruire il morale dei suoi ragazzi, magari anche solo con la scontata riflessione che un crollo verticale e una beffa sarebbero davvero un incubo imperdonabile e nemmeno pensabile) ma – sorvolando sugli sfottò elementari e quasi dovuti nella logica delle rivalità sportive – fa davvero sorridere che alcuni commentatori, stressati da mesi di dominio nerazzurro sul campionato, sudino oggi sette camicie per far passare una teoria delirante: che la stagione con scudetto e uscita da Coppa Italia e Champions agli ottavi sia ordinaria amministrazione.
La Seconda Stella e il bel calcio offerto ai tifosi a San Siro e in tv dovrebbe scomparire di fronte al mondo nella visione ipocrita e pelosa di questi fulgidi “analisti”. Gli stessi che, dopo la seconda campagna di mercato in cui si è abilmente smontata e rimontata la squadra, dicevano nella scorsa estate che l’Inter sarebbe arrivata massimo quinta in classifica in serie A.
Gli stessi che oggi palesano febbrile disperazione perché vedono che la società nerazzurra sta pianificando in netto anticipo le strategie per la prossima, molto impegnativa, stagione. Mentre le loro squadre di riferimento aprono le porte delle proprie sedi a ben altre stelle: quelle sulla divisa della Guardia di Finanza.
La partita di Madrid? La squadra ha affrontato con poca personalità la sfida con l’Atletico Madrid. Ironia della sorte, il giovane Bisseck, entrato in campo nella fase finale della gara, ha dimostrato più garra e più personalità di tanti “senatori”. Il difensore tedesco ha osato e cavalcato, mentre vecchie volpi come Mkhitaryan palesavano tutto il peso della propria carta d’identità in una dimensione da Champions, dove i giocatori dell’Atletico Madrid correvano più e meglio, e arrivavano sempre primi sulla palla. Pavard, nonostante la sua esperienza internazionale, è apparso inquieto e molto impreciso in diverse occasioni.
Inter e l’addio alla Champions League: l’imbarazzo di Julio Cesar
Inter, la stagione non è da buttare ma per Champions League ci vuole altro…
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Il suo liscio nel cuore dell’area interista – con il conseguente goal di Griezmann – ha segnato fatalmente l’intera gara. Dopo il gol di Dimarco lo Stadio Metropolitano era ammutolito e chiudere il primo tempo in vantaggio avrebbe costruito certezze e ricaricato energie. Thuram, abilmente soffocato (a raddoppi e pestoni) dai giocatori madrileni ha fatto quello che poteva e ha sprecato quello che non poteva. Lautaro ha fatto buone cose nel primo tempo (senza segnare, cosa che invece un Griezmann in queste situazioni fa, anche se non fisicamente al massimo), ma dal dischetto del rigore ha disegnato una follia imbarazzante che lo eleva a peggior rigorista della storia dell’Inter (una follia mantenerlo ancora nel ruolo: Inzaghi riesce a migliorare tutti gli uomini della rosa, ma non riesce a rendere Martinez un rigorista perlomeno decoroso).
Ora che la società sembra intenzionata a dare all’attaccante argentino quei (troppi) dieci milioni di euro all’anno, che gli venga chiesto un upgrade ineludibile sull’abilità nei rigori.
Il senso della serata di Champions League? Nel sorriso sempre luminoso ma imbarazzato di Julio Cesar, interpellato nel pre-partita sul tema “Quella di Inzaghi è l’Inter che gioca meglio nella storia?”: Julio si è morso le labbra e ha svicolato. Da trionfatore del Triplete, il portiere brasiliano ben sapeva che, in Coppa, giocare bene significa anche concretizzare il poco che ti viene servito. Perché per andare avanti in ambito internazionale non basta una rosa di ottimi giocatori diligenti e solidali fra loro, ben guidati da un ottimo tecnico.
Servono i campioni capaci di svoltarti una brutta partita su un campo difficile: ciò che erano gli Eto’o, i Milito, i Maicon. La serie A di oggi non se li può permettere? Giusto. Dunque, godiamoci questa possibile, altamente probabile seconda stella, e siamo realisti. E sorridiamo con sovrana pietà degli sfottò di tifoserie rivali, disperate per oggi e per il prossimo futuro.



