Nell’estate del 1997 il miglior giocatore del mondo indossa la maglia dell’Inter: un’intera generazione nerazzurra ha sognato invano sulle giocate del Fenomeno
Correva l’anno 1997 e in una primissima mattina di mezza estate – erano le 6.05 del 25 luglio per la precisione – un extraterrestre sbarcava sul pianeta del calcio italiano. Il volo arriva da Rio de Janeiro, fa scalo a Fiumicino e la tappa finale si chiama Milano. Per meglio dire, l’ombra nerazzurra della Madonnina. Ci stiamo sbagliando, non era un alieno, ma addirittura una divinità: pochi mesi dopo una fortunata pubblicità della Pirelli avrebbe ritratto Luis Nazario da Lima – questo il nome di battesimo del Fenomeno – sulla punta del Corcovado in luogo del Cristo Redentore. “La potenza è nulla senza controllo” recitava lo slogan della nota multinazionale.
Tutto fuorché una blasfemia, e basta qualche numero per rendere l’idea. Quarantotto miliardi del vecchio conio, ovvero la cifra della clausola rescissoria pagata un mese e quattro giorni prima dal patron dell’Inter Massimo Moratti per assicurarsi le prestazioni, appunto, di Ronaldo e il suo vento dei vent’anni sulle gambe. Il numero nove del Barcellona si era appena laureato Pichichi della Liga spagnola con trentaquattro bersagli: dieci in più di Suker, tredici in più di Rivaldo e Raul. Il sigillo nella finale di Coppa della Coppe (1-0 al Paris Saint Germain), la doppietta nell’undicesima edizione della Supercoppa di Spagna: a fine stagione, nazionale compresa, i centri diventano sessantadue in sessantasei presenze.
L’Inter e una generazione di tifosi ai piedi del Fenomeno
Inter, i sogni infranti e la generazione del Fenomeno (prima parte)
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Roba da fantascienza per l’epoca. Proprio nella calda estate del torneo di Francia – competizione passata alla storia per la celebre istantanea di Claudio Villa, fotografo della Nazionale, definita dallo stesso brasiliano come “foto più bella di sempre” – gira nel nostro paese un’esplicativa videocassetta. L’ormai obsoleto dispositivo di memoria magnetica, commentato dall’inconfondibile voce di Italo Cucci, in un periodo in cui ancora l’informazione non poteva correre velocemente impazzita come oggi, conferiva un senso alla fredda statistica.
Il giornalista del Montefeltro ricorderà questo “incontro” nel 2011 sulle pagine di Avvenire: «Ecco apparirmi vent’anni dopo Maradona un altro campione destinato alla leggenda, come Di Stefano, Pelé, Best, Rivera; di tutti aveva un segno, Ronaldo: i piedi buoni, la fantasia, l’intuito, la saggia competenza, anche un po’ di follia, ma su tutti s’innalzava per potenza e velocità».
E ancora: «dopo un paio di prove il racconto di quei gol era diventato quasi automatico, come per lui impossessarsi del pallone strappandolo dolcemente o con forza all’avversario attonito, e con la palla correre veloce verso la porta tagliando il campo longitudinalmente, saltando gli incursori come birilli, sparando a rete dopo i vani voli di portieri afflitti eppoi iniziando la corsa a braccia aperte nel dopogol liberatorio, prima pieno di felicità fanciulla più tardi anche di polemica, perché dovete sapere che gli spagnoli avranno anche tanta passione per il football ma scarsa competenza, visto che ci hanno passato Maradona e Ronaldo dopo averli fischiati, insultati, anche picchiati (a Diego l’han fatto a pezzi)».