La Beneamata è tornata. Almeno per una notte, almeno sotto al cielo stellato delle grandi firme blaugrana. Barcellona-Inter è il racconto di un 3-3 che raccoglie in sé tutta l’essenza del calcio (errori e orrori sportivi compresi). Alzi la mano chi non ci avrebbe messo la firma al fischio iniziale di Turpin: dopo tre sconfitte consecutive e un’involuzione – nel gioco, nella lettura delle gare e nel carattere – il rischio era quello di presentarsi in terra catalana per fare da vittima sacrificale. I nerazzurri, come si suol dire, hanno messo il cuore oltre l’ostacolo: al di là della consapevolezza di aver ormai buttato via mezza stagione, con il rispetto dovuto a un avversario tanto quotato. Ma senza paura alcuna.
Già dal riscaldamento si è potuta percepire tutta la differenza emotiva: da una parte il sorriso spensierato dei vent’anni, dall’altra la concentrazione massima di chi sa, ormai ultratrentenne, di essere arrivato all’ultima chiamata importante, sia stagionale che in termini assoluti.
Barcellona-Inter, un 3-3 pirotecnico
Novanta minuti che sicuramente hanno divertito, come non succedeva da tempo, lo spettatore senza implicazioni sentimentali. Per gli altri, c’è stato anche da soffrire. E parecchio. Sì, perché dopo ventuno giri di lancette da stropicciarsi gli occhi – il tacco di Markus Thuram e la sforbiciata di Denzel Dumfries – il Barcellona è rientrato in partita con tutta la sua forza d’urto. E l’Inter, in quel quarto d’ora che ha portato al 2-2 dei padroni di casa, ha mostrato le solite, preoccupanti disattenzioni: la catena di sinistra – al netto delle capacità aliene di Lamine Yamal – ancora troppo morbida, l’ennesima rete subita a difesa schierata. A quel punto, ci sarebbero stati tutti i presupposti per affondare, infortunio di Lautaro Martinez compreso.
E invece la seconda frazione ci racconta di un’Inter brava a ricompattarsi e intelligente a sfruttare il tallone d’Achille dell’avversario. Ovvero una retroguardia altissima, schierata praticamente sulla linea di metà campo. Denzelone ci rimetteva la testa, ma Raphinha tirava fuori dal cilindro l’ultima magia di giornata – seppur con l’aiuto della traversa, della sfortunata deviazione di Sommer e dell’unico neo della ripresa interista: il non aver messo un uomo fuori dall’area su quel tiro dalla bandierina.
Così, mettendo sul piatto i legni spagnoli e il gol annullato a Mkhitaryan per una questione di centimetri – il fuorigioco ai tempi del Var, bellezza – il risultato di Barcellona-Inter è giusto. E lascia ampi, ampissimi margini per il ritorno di San Siro. Un altro giro sulla giostra, appuntamento alla Scala del calcio.



