Ne ferisce più la lingua che la spada, ci spiega la saggezza popolare. Attenzione quindi alle parole. E soprattutto al loro peso specifico. Ma facciamo un passo indietro, ai primi giorni del “ritorno” all’Inter di Cristian Chivu. Disse, dopo la vittoria al Mondiale per Club contro il River Plate, il buon Carlos Augusto: “Il mister sta portando, poco a poco, idee leggermente diverse da prima. C’è più verticalità su palla rubata, più pressione quando perdiamo un possesso, forse anche più cattiveria, che è poi quello che avete visto contro il River. È importante anche questo, combattere senza paura di fare falli: stiamo provando a sentirci più liberi anche da questo punto di vista perché poi abbiamo la tecnica per fare la differenza“.
Oltre il possesso palla
Arrivò poi la sconfitta negli ottavi e – con un salto temporale di un paio di mesi e al netto della goleada rifilata al Torino – la caduta casalinga contro l’Udinese. Come fatto notare dalla Gazzetta dello Sport (e come è ovvio che sia, aggiungiamo noi) la Beneamata pecca ancora di un’inzaghiana leziosità. Quando, in certi casi, ci sarebbe bisogno di sporcarsi le mani. Pardon, scarpini e parastinchi.
Scrive la rosea, cercando di entrare nella testa del tecnico rumeno: “Non gli è stato difficile convincere del problema Aleksandar Kolarov. Uno che ha costruito la propria carriera sulla determinazione e sulla cattiveria agonistica. E così, pur riconoscendo che ‘serve tempo per eliminare abitudini che vengono da tanti anni di lavoro’, Chivu sta programmando una squadra di assaltatori più che di tessitori. Aggressività, pressing, verticalità. Tenete a mente queste parole quando parlate della sua Inter. O almeno dell’Inter che gli interessa plasmare. Se c’è una statistica nella quale Chivu non ama primeggiare, è il possesso palla. Un falso mito per lui, come per tanti strateghi ormai: si può vincere anche con l’arte della guerriglia, con i morsi improvvisi, senza ghirigori. Così Chivu ha battuto Igor Tudor nell’ultimo Parma-Juve. Aveva meno risorse ma ha conquistato il territorio con l’abilità collettiva. Con l’anima. Non sempre il gap qualitativo si riempie con gli atteggiamenti ma qualche volta sì“.
La nuova Inter di Cristian Chivu
Eppure si muove, per dirla con Galileo Galilei. Più prosaicamente, e senza scomodare più il padre della scienza moderna, qualcosa di diverso inizia a vedersi. Sempre con il primo quotidiano sportivo italiano: “Ad esempio l’incremento del numero dei falli. Nell’ultima stagione di Simone Inzaghi, l’Inter ha chiuso al quint’ultimo posto la classifica delle irregolarità con una media-partita di 11 falli. Contro Torino e Udinese la squadra ne ha già commessi 31, cioè 15,5 per volta, issandosi sulla casella numero 5 della Serie a dietro a Sassuolo, Como, Napoli e Verona. Chivu lo considera un dato incoraggiante, un sentiero finalmente libero verso l’autostrada: significa che i giocatori stanno provando ad applicare i suoi princìpi, a recuperare il pallone il più avanti possibile, senza “scappare” per paura degli squilibri di sistema”.
Mettiamoci dentro anche l’abolizione della legge ammozione-uguale-sostituzione. C’eravamo tanto amati, caro bel calcio dell’Inzaghi d’Arabia. Ma indietro, per fortuna, non si torna. Ogni transizione richiede pazienza. E la consapevolezza della possibilità di dover mandar giù qualche boccone amaro. Intanto prende forma la nuova Inter di Cristian Chivu: ci sarà tempo per giudicare, ma le idee del “dittatore democratico” quelle sì, già ci piacciono assai.