Quella di Juventus-Inter è la cronaca dell’ennesimo esame fallito dagli uomini di Simone Inzaghi contro una buona squadra. Una partita in cui si sono palesate tutte le mancanze, soprattutto mentali, dei nerazzurri
Juventus-Inter, poteva essere la domenica perfetta – vittoria sugli odiati rivali e agognato (più dai tifosi che dai giocatori?) sorpasso sul Napoli. È stata, al contrario, l’ennesima occasione mancata della stagione “italiana” dei nerazzurri. Fragili dietro, molli nel mezzo e con il mirino sballato davanti. Barella e soci perdono contro una delle Juventus tecnicamente più povere degli ultimi 30 anni. E dire che sarebbe bastato poco, il primo tempo è lì a dimostrarlo.
Un minimo di spinta sull’acceleratore, dopo le prove tecniche della prima frazione, avrebbe smontato la pur composta disposizione tattica dei bianconeri. Una buona squadra, niente di più. Come Milan, Bologna e Fiorentina. Altre compagini che – guarda caso – in questo principio di 2025 sono riuscite a sfilare punti dalla marcia degli uomini di Simone Inzaghi. Il quale, nelle parole post-gara sembra comunque vedere il bicchiere mezzo pieno (“mai creato così tanto in 9 anni di partite a Torino”). A differenza di Firenze allo Stadium la prestazione c’è stata, è vero. L’involuzione però – soprattutto a livello mentale – non può essere ignorata. Ma andiamo nel dettaglio.
Juventus-Inter: l’ennesima occasione sprecata
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Partiamo dall’episodio chiave. Il goal di Francisco Conceição – o meglio, la giocato di Kolo Muani – ha messo in imbarazzo tutta la difesa. E ancora, in generale, totale mancanza di concetrazione. Ci abbiamo fatto caso ieri sera: in area di rigore c’era sempre – e sottolineamo sempre – una maglia bianconera completamente libera (e quasi mai si trattava dell’uomo posto sul palo più lontano rispetto alla posizione del pallone). L’inter finalista di Champions League si difendeva con una linea a cinque – rivedere le trasferte contro Porto e Benfica. Questa, imborghesita da complimenti e seconda stella, offre sempre il fianco. Anche quando schierata.
Un po’ più avanti ad oggi Hakan Calhanoglu è, semplicemente, impresentabile. E no, dopo quattro gare dal suo ritorno in campo non può esser solo un problema di condizione fisica: in tre stagioni e mezzo non l’avevamo ancora visto così floscio. Gravissima la mancanza sulla rete subita. Perché insistere su di lui?
Decisamente più lucido Henrikh Mkhitaryan (anche a parole: “siccome siamo forti a volte non siamo concentrati e pensiamo di vincere comunque”). Sulle fasce poi abbiamo visto un Federico Dimarco impreciso come non mai. Mentre Denzel Dumfries avrebbe bisogno di passare qualche ora con la cara vecchia forca. I pali, ormai una costante, non sono più una questione di sfortuna. Ma sono diventati un’aggravante. Capitolo punte: Lautaro Martinez è l’ultimo a mollare. Sottoporta però gli errori stagionali iniziano ad essere troppi. Numericamente e per peso specifico. A maggior ragione per un giocatore che – come si dice – ha puntato al pallone d’oro. Mehdi Taremi? Oggetto misterioso: non fa lavoro sporco, non lotta, nullo in rifinitura. Calciare in porta… manco a parlarne. Evitiamo di andare oltre, sarebbe come sparare sulla croce rossa.
Ha ragione Mkhitaryan, lo diciamo in un altra modalità, senza senza mezzi termini: se l’Inter non dovesse vincere questo scudetto sarebbe un fallimento. Al momento possiamo solo dire che si sarebbe dovuto fare di più: i giocatori ritrovino al più presto la dovuta fame, il mister dovrebbe aver imparato a non fossilizzarsi su certe scelte. Di colpe ne ha pure una società che a gennaio non è intervenuta in attacco. È già successo nella stagione 2021-22: ripetere quell’annata amara – Coppa Italia più Supercoppa non valgono uno scudetto – sarebbe un peccato capitale.