Evaristo Beccalossi centrocampista dalla tecnica sopraffina, genio estroso e una personalità fuori dagli schemi che ha lasciato un segno indelebile nel calcio italiano degli anni ‘80.
Negli annali del calcio, certi nomi risuonano non solo per i troppi trofei vinti, ma per l’impronta indelebile lasciata attraverso il talento puro, la creatività e una personalità capace di conquistare i cuori dei tifosi. Evaristo Beccalossi, un’anima ribelle. è senza dubbio uno di questi.Nato a Brescia nel 1956, “Becca” è stato l’emblema di un calcio spensierato e fantasioso, lontano dai rigidi tatticismi moderni. La sua storia si lega indissolubilmente a quella dell’Inter, la squadra dove ha vissuto i suoi anni migliori.
Arrivato a Milano nel 1978, Beccalossi si è subito imposto con la sua tecnica sopraffina e la sua visione di gioco unica.
Le caratteristiche
Trequartista, numero 10, era un artista del pallone: dribbling fulminanti, passaggi illuminanti e una capacità di inventare calcio in spazi ristretti che faceva spellare le mani agli spettatori del “Meazza“. Non era un atleta scolpito, il suo fisico era tutt’altro che imponente, ma la sua intelligenza calcistica sopperiva a ogni mancanza. Sapeva leggere il gioco come pochi, e i suoi colpi di genio erano spesso decisivi.
Ma Evaristo non era solo un grande giocatore, era un personaggio. La sua schiettezza, la sua autoironia e la sua vita fuori dal campo, a volte disordinata, lo hanno reso ancora più umano e amato.
Le sue celebri battute, le sue risposte ironiche ai giornalisti, lo hanno trasformato in una figura di culto. Era un’anima ribelle, un anticonformista in un mondo che iniziava a omologarsi. Il suo estro e la sua imprevedibilità non erano confinati solo al rettangolo verde, ma facevano parte del suo DNA.
Evaristo Beccalossi ha segnato un’epoca. Ha vinto lo Scudetto 1979-80 con l’Inter, ma al di là dei trofei, ciò che resta di lui è l’immagine di un giocatore libero, felice di giocare a calcio, capace di emozionare e di divertire. Oggi, in un calcio sempre più standardizzato, il ricordo del “Becca” ci riporta alla magia di un’epoca passata, in cui il talento e la follia potevano ancora fare la differenza.